di Francesca Motta


Tour de force teatrale dal battito infernale per “ I Demoni” caserecci di gran maestro Peter Stein. E quando sono le creature degli inferi a scatenarsi può succedere di tutto. Lo spettacolo era stato commissionato dallo Stabile di Torino al sommo regista berlinese, poi in corso d’opera nonostante l’enorme sforzo economico previsto di un milione di euro, all’aumento chiesto dal genio settantaduenne di altri centodiecimila euro e al raddoppio dell’arco di tempo della rappresentazione, lo stabile sabaudo ha preferito rinunciare alla mastodontica impresa. Improbabile in tempi di crisi sborsare tale somma e sottoporre il pubblico a nove ore di spettacolo, più quattro di intervallo tra piccole ricreazioni, pranzo e cena. Ma dato che ai ventisei attori, in ogni caso per contratto spettava la retribuzione dal teatro torinese, Stein, che ormai lavorava al macroscopico progetto da un anno, lancia la sua provocazione e armi e bauli decide di traslocare a casa sua. Sì, proprio a San Pancrazio dove vive con la compagna Maddalena Crippa, un antico borgo umbro ristrutturato, immerso in una natura lussureggiante, con un cascinale utilizzato come sala prove e corredato da novantasei posti a sedere. La “demoniaca” kermesse è andata in scena in forma di laboratorio ma integralmente, in due week-end (23/24 e 30/31 maggio) per soli quattrocento privilegiati e ardimentosi spettatori. Pochi i costumi e rimediati, i mobili sono quelli di casa, ogni cosa è stata ridimensionata pur di poter rappresentare il torrenziale e mitico romanzo di Fëdor Dostoevskij. Tutto quindi si rimanda alla parola del testo, alla bravura e resistenza strepitosa degli attori, e al graffio potente e visionario di un vero portento della regia teatrale mondiale. La rara e ineguagliabile rilettura è suddivisa in parti e capitoli, che lo stesso Stein, interprete anche di un cammeo nei panni di pope Tichon, enuncia dal fondo della sala. Un’impresa kolossal che rimesta nei cunicoli malati dell’anima di una folla umana di uomini dissennati, dolenti, maligni, meschini, ridicoli, che percossi dalle ossessioni cadono in una voragine che li trascina inesorabilmente verso la follia e la morte. La trama complessa è un enorme trattato filosofico e politico, che il nostro Stein trasforma in un viaggio da carosello estremo con picchi di sorprendente ironia. Geenna di fuoco scatenata e a tutte le latitudini.  Chi sono dunque questi profetici e nauseati satanassi russi? Nikolaj Stravogin di Ivan Alovisio perno della storia amletico mefistofele e vittima dell’autore, sua madre la cinica Varvana Petrovna della raffinata Maddalena Crippa, Sigaèv di Fulvio Pepe che ipotizza un’umanità- gregge drogata e alcolizzata anestetizzata da qualunque sentimento, il convulso Kirillov di Fausto Russo Alessi, con loro (impossibile enumerarli tutti) un clan di nullisti degni della peggiore società immaginabile. Teatro sconquassante, destabilizzante, da far barcollare per potenza e tempo chiunque, raro esempio di catarsi totale. Non c’è scampo per Stein e noi, se l’incontro è con quei demoni che pur non volendo ci rappresentano raccontandosi. Rimane un dubbio shakespeariano “ molto rumore per nulla” o la possibilità in futuro per tutti di vedere la demoniaca saga?   

FRANCESCO MOTTA IL SOLE 24 ORE




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